Shiken (esame)

Introduzione

Questo opuscolo è stato preparato sulla base delle osservazioni fatte durante i miei anni di apprendimento in Giappone. Questo soggiorno mi ha fatto confrontare con degli aspetti molto positivi in materia di esami, ma anche con degli aspetti negativi. Questi eventi mi hanno persuaso a mettere l’accento su certi punti che mi sono stati trasmessi, tra gli altri, è stato determinante per esempio l’insegnamento del M° DONN DRAEGER, che ho lungamente frequentato. Hanno anche la loro influenza 17 anni di apprendimento nelle discipline Marziali Classiche (Kobudo), dopo il mio ritorno dal Giappone.

Questo opuscolo non vuole essere una descrizione di regole fisse dello Shindo Muso Ryu (la tradizione marziale nella quale io ho ricevuto la mia formazione), ma piuttosto un’interpretazione di quello che è il Ryu (scuola) consigliata al tempo del M° TAKAJ SHINIZU, 25° Gran Maestro (dan) dello Shindo Muso Ryu.

Parlerò abbondantemente di attitudine e di responsabilità nelle pagine che seguiranno. È chiaro che un’attitudine o il senso di responsabilità non possono essere dettate da nessuno: sono cose che o si sentono o non si sentono.

Io penso che se tutti i praticanti a cui questo testo è dedicato si allenano molto regolarmente con un Maestro, tutto quello che segue sarebbe sufficiente, senza bisogno di parlare e soprattutto di scrivere. Sarà attraverso l’esempio o le note del Maestro che il proprio spirito sarà modellato.

Spesso bisogna ammettere che la maggioranza dei praticanti si allenano da soli o con un istruttore che non ha ancora un’esperienza sufficiente. I consigli che seguono sono quindi una sorta di descrizione di uno stato d’animo ideale che può servire come punto di riferimento a coloro che desiderano che ciò sia attribuito. Si sa che nel Budo, sovente, viene chiesto a un debuttante d’imitare attitudini che ancora non si sente, per esempio quando si chiede a un debuttante di attaccare con più convinzione cosa che non può verificarsi senza basarsi che su di una lunga esperienza. Per ciò che concerne le pagine che seguono, se potranno condurre un praticante anche solo a porsi domande sulle sue attitudini, allora potrò dichiararmi soddisfatto.

Pascal KRIEGER
Ginevra, 27 marzo 1993

 

Il significato e il carattere dello shiken
(oggi shiken significa test o esame)

SHI
Significa test, prova, sperimentare. Si può dire la scienza e la conoscenza quando è utilizzato con un altro carattere Shiki significa cerimonia, rito. La combinazione di questi due caratteri sembra indicare un qualcosa di scientifico che si deve fare secondo un rituale ben preciso.
KEN
Ha lo stesso senso dello Shi, molti dei nomi cinesi o giapponesi si sono formati da due caratteri che hanno approssimativamente lo stesso senso.

 

Filosofia e significato dello shiken

Lo spumante è già nel frigorìfero. Questa espressione, sovente sentita prima di un esame, significa per me che un esame è ben preparato, il periodo e l’intensità di allenamento è adeguato, che il valore del candidato è già all’altezza del grado per il quale si presenta, che l’esame non è che una formalità; quindi per questo si dice che lo spumante è al fresco, per festeggiare l’avvenimento.

Io penso che è con questo spirito che bisogna presentarsi ad un esame. Tutto questo presuppone un lavoro preliminare, un lungo allenamento ed un ‘intensità particolare.

Le bolle dello spumante non dovrebbero far dimenticare che Shiken è una prova, qualche volta lunga e faticosa. La tensione psicologica di un esame fornisce al praticante l’occasione unica di lavorare in un’atmosfera diversa dalla solita. Come il nome stesso indica, un esame è un momento in cui si esamina un praticante, la sua attitudine, le sue tensioni, le sue conoscenze, le sue possibilità, per finalmente decidere se il livello globale di questo praticante è ben conforme ai criteri stabiliti dal gruppo responsabile.

Tutto quello che bisogna chiedere al candidato è abbastanza semplice:

  1. Esecuzione precisa e senza esitazioni delle Tecniche richieste, nell’ordine dato e senza omissioni.
  2. Un’attitudine in accordo con i diversi principi inerenti allo studio della sua disciplina.

Tutte le mancanze a questi due punti saranno sufficienti a giustificare e a rinviare il praticante ad un nuovo periodo di preparazione.

Per certi praticanti questi due criteri potrebbero essere troppo severi. Questo è il momento di porsi una domanda: “fino a che punto si vuole arrivare?”.

In un passato molto lontano, in Giappone, la soluzione a questo quesito stava nella morte di uno dei due protagonisti. Più tardi furono aggiunte delle protezioni, ma i test risultarono ancora con gravi feriti. Poi si è deciso di fare i test con delle forme prestudiate (kata), che si indicavano ai candidati qualche istante prima della prova. Oggi si è arrivati a proporre bene, anticipando bene un programma ben definito, senza sorprese, comprendente tecniche prestudiate che fanno parte di un curriculum di tecniche già lungamente studiate.

È facile ironizzare sulla prossima concessione: il praticante andrà dritto a tre prove e si sceglierà il migliore, a meno che si decida di attribuire semplicemente i gradi in rapporto al numero di allenamenti, senza nessuna forma di test. Allora un giorno nei dojo rigurgiteranno 10^ Dan, bisognerà allora inventare i 10^ Dan (di colore).

Ridiventiamo seri. Se si vuole un grande spirito, quanto il rispetto da parte degli altri, bisognerà preservare un certo valore. È in questo modo che si gioca il senso di shiken.

Il significato, l’obiettivo e la necessità di un esame hanno per obiettivi gli elementi seguenti:

  1. La sicurezza che un praticante possiede relativamente alla sua altezza, il curriculum preteso dal regolamento tecnico dopo un periodo determinato di allenamento. In tutte le scuole esiste un curriculum tecnico da approfondire. Se si desidera che il sistema sia efficace, una base essenziale è assicurarsi periodicamente che il praticante sia ben informato sul grado relativo alla sua esperienza e alle conoscenze richieste.
  2. L’esperienza di un lavoro in un contesto d’allenamento non abituale, procurerà una pressione psicologica, in relazione alla quale il praticante sarà esaminato. Nelle discipline marziali classiche, non ci sono gare (ad esclusione delle recenti gare di kata, dove ad occhio e croce vince la migliore prestazione). I combattimenti reali saranno troppo pericolosi per la mancanza di protezioni, i soli mezzi per esaminare le capacità di reazione di un praticante sono in un contesto di lavoro intenso, così che il risultato del suo allenamento sarà in una dimostrazione (embu) e nell’esame stesso. Tutti i praticanti dovranno sperimentare questi due metodi, una prova necessaria per la sua progressione. Questo permetterà all’insegnante d’osservare le reazioni di un praticante e di determinare in seguito, in modo più personalizzato, nuove direzioni di lavoro per migliorare o per far emergere totalmente alcune lacune; quindi è importante osservare, in un esame, le attitudini che abbiamo detto prima.
  3. La motivazione dello sforzo personale che rappresenta la preparazione ad un passaggio di grado quando lo sforzo è preso seriamente. Un esame si prepara (ad eccezione di alcuni casi citati dopo). C’è un’altra maniera di mettere progressivamente il praticante sotto pressione. I tempi di preparazione dovranno durare più mesi. Questa è l’occasione per mettere i punti su alcuni difetti ricorrenti (kuse). Questo è il periodo ideale per il praticante di sperimentare il suo sforzo (tempo e intensità dello sforzo occorrente) che può far scattare una “molla” una sorta di “satori” (di strada, do) che può fiorire o sparire.
  4. La determinazione, la posizione del praticante in rapporto al gruppo nel quale si allena. Nello stesso tempo, anche se il praticante non da che poca importanza ai gradi, il timore di questa prova necessita di chiarire la situazione faccia a faccia, di questo rifiuto nel gruppo che si è allenato. Nelle discipline moderne non è raro vedere un praticante di lunga esperienza, senza alcun grado, compiacersi dello stupore che provoca presso quelli che l’avevano giudicato solo per il suo grado. Questa posizione è ambigua e malsana; questi praticanti dovranno far fronte alle loro responsabilità. C’è sempre una certa indipendenza con un curriculum, nelle scuole certamente serie, i suoi insegnanti a partire da un certo grado faranno dello shiken un passaggio obbligato per la progressione tecnica.
  5. II rapporto del praticante con le nuove responsabilità inerenti il suo grado. Nelle scuole classiche, l’anzianità che determina il posto del praticante nella linea davanti al saluto, durante l’allenamento i gradi aiutano. I praticanti che hanno un grado più elevato sono responsabili di quelli che hanno un grado meno elevato; questo significa che egli dovrà adeguare l’intensità del suo lavoro in rapporto alle possibilità del Suo avversario. Egli è responsabile delle ferite che si potranno infliggere al meno anziano per la mancanza di esperienza. I praticanti più bravi dovranno aiutare i meno bravi incoraggiandoli, donandogli delle occasioni di lavoro il più sovente possibile; questo non è sempre compreso. Certamente l’utilizzo nell’esporre la propria superiorità rende un lavoro difficile per un debuttante, approffittando di soppiantare il ruolo dell’insegnante mettendosi a faredei piccoli corsi privati. Il praticante non è tenuto a lavorare con questi anziani. Farà quello che ha appreso attraverso il suggerimento del suo insegnante e gli anziani, attraverso la gestualità appresa, faranno, a loro volta, come l’insegnante. E’ bene inteso che l’attitudine deve essere in rapporto al grado che si ha.
  6. Responsabilità e attitudine del candidato. In principio il candidato è proposto ad un esame dal suo insegnante e non il contrario. Se si è allenato da solo, aspetterà che la direzione tecnica del suo gruppo gli proponga di partecipare ad un stage dove sarà presentato. Il candidato si limiterà a fare l’impossibile per presentare il miglior lavoro di cui è capace. Egli è tenuto a presentare un curriculum; sarà esaminato dopo l’allenamento, quindi dovrà lavorare più di altri. Le attitudini del candidato dovranno promuovere e dovranno restare discrete e umili. In caso di fallimento egli aspetterà le spiegazioni degli esaminatori e del suo insegnante con calma e cercherà l’errore che ha fatto prima dei suoi esaminatori. Un insuccesso può avere delle conseguenze più positive che una promozione poiché ha dato al praticante la possibilità di aver fatto una cosa importante per se stesso. Questa attitudine permetterà sia agli esaminatori che all’insegnante di ottenere delle indicazioni precise per il seguito. Il Consiglio (Commissione Tecnica) Shiken si riunirà, prenderà visione del suo curriculum, vestiario in ordine, si assicurerà che le armi siano al loro posto ed al bisogno starà attento se dovrà fare da uke ecc…, che sia sempre presente.
  7. Responsabilità e attitudine degli insegnanti. L’insegnante, per rispetto dei suoi allievi non presenterà dei candidati che non siano ben preparati, per evitare loro un’umiliazione inutile, un insuccesso troppo prevedibile. La prestazione del suo allievo è un biglietto da visita. Il Maestro, in caso di fallimento, avrà una condotta attenta e sottomessa. Ascolterà le note degli Esaminatori, prenderà nota e rettificherà il suo tiro ulteriormente dentro il suo insegnamento. Durante la prova d’esame, il Maestro non sta al tavolo degli esaminatori, si metterà di lato (joseki) in seiza e resterà attento alla prestazione del suo allievo, alle sue reazioni, in modo da modificare il suo insegnamento di conseguenza.
  8. Responsabilità e attitudine degli esaminatori. La responsabilità che incombe all’esaminatore è molto importante. Egli deve essere estremamente attento e possedere una grande concentrazione. I voti più alti sono la riuscita del candidato, l’esaminatore dovrà adottare lo stesso criterio per tutti. In casi particolari, in cui il candidato sia handicappato, l’esaminatore si prenderà la responsabilità di alleggerire il currìculum e decidere. L’esaminatore dovrà tenere a mente lo spinto di un esame e non considerarlo una eliminatoria ma una prova che il candidato chiede di passare. Egli deve approfittare di questo avvenimento per annotare delle correzioni di carattere generale sull’attitudine e la direzione del lavoro, mentre i dettagli saranno lasciati all’insegnante. Le osservazioni globali saranno condensate e visibilmente scritte in un formulario d’esame e si farà copia per l’insegnante. Nel caso di più esaminatori riuniti, il più anziano prenderà tutte le decisioni in armonia con i subordinati. Egli potrà prendere le decisioni in caso di litigio. L’attitudine dell’esaminatore deve essere di rispetto per il candidato. La posizione del giudice non è una posizione di superiorità, umanamente parlando. Il fatto che un praticante abbia scelto di allenarsi intensamente, presentare il suo lavoro, quindi dovrà portare rispetto ed imparzialità. Esteriormente il suo rispetto si tradurrà in una attenzione cortese ed una posizione seduta corretta. Evitando di farsi portare bevande fredde o calde a secondo della stagione. Le domande dovranno essere piene di calore umano senza mostrarsi accondiscendente. Si sentirà onorato e fiero di gratitudine di essere il testimone di un lavoro intenso lungamente e liberamente preparato. Senza più esami scandalosi dove gli esaminatori, si mostrano mezzi addormentati ed inattivi, annoiati come dei piccoli sovrani disingannati.

 

Organizzazione di una seduta di shiken

II miglior momento per organizzare una seduta di Shiken, è dopo uno stage, perché il candidato sarà ben “carico “, si impregnerà di uno spirito particolare di lavoro nel Budo.

 

L’organizzazione incombe o al responsabile di un dojo o all’organizzazione del gruppo

Il responsabile della organizzazione della seduta di shiken, resterà attento ai punti seguenti:

  1. Per una seduta prolungata (più di un’ora), si metterà di lato joseki del Kamizza (vedere schema), una tavola con il numero di sedie corrispondenti al numero degli esaminatori.
  2. Le domande d’esame dei candidati, giustamente riempite, saranno posate sul tavolo, dei fogli bianchi saranno a disposizione degli esaminatori per le loro note personali.
  3. Dopo aver determinato con gli esaminatori l’ora d’inizio degli esaminandi, il responsabile metterà tutti i candidati in fila di lato a shimoza, i più graduati di lato joseki, gli insegnanti faranno in modo di mettere gli allievi candidati davanti allo joseki.
  4. Nel caso di un numero elevato di candidati (più di 10), si dovrà preparare dei numeri ben visibili d’attaccare al petto, questo numero sarà riportato sul verbale d’esame.
  5. Gli spettatori eventualmente si metteranno al lato shimoza, molto arretrato e dovranno tenere un completo silenzio, durante tutta la durata degli esami.
  6. S’informerà presso gli altri esaminatori, se c’è un ‘esame teorico o scritto e se esistono dei fogli preparati per l’occasione. In questo caso si distribuiranno i fogli al momento opportuno.
  7. Quando tutto è pronto, il responsabile dello shiken, inviterà gli esaminatori a sedersi al tavolo.

 

Svolgimento

  1. Esaminatori e candidati si gireranno verso Kamizza per un saluto comune. Poi esaminatori e candidati si saluteranno. Poi tutti prenderanno i propri posti.
  2. Il responsabile degli esaminatori convoca il primo od i primi, generalmente i gradi inferiori sono esaminati per primi. Gli assegna un posto in rapporto all’angolazione e poi si comincia.
  3. Sse non ci sono più direttive, il candidato comincia il suo lavoro, con il suo ritmo fino a quando non ci sono direttive, alla fine si metterà in seiza.
  4. Il responsabile chiama di volta in volta gli altri candidati, questi alla fine andranno a mettersi in seiza dove erano prima e aspetteranno la fine dell’esame.
  5. Se c’è un esame tecnico, può essere fatto nello stesso momento o una volta che la prova tecnica sia finita.
  6. Al termine di tutto i candidati tornano verso Kamiza per un saluto reciproco, cosicché formalmente l’esame è terminato.
  7. Gli esaminatori, metteranno ordine nei loro appunti, segneranno le cose per il Maestro.
  8. I candidati a gruppi o individualmente saranno chiamati e sarà letto il loro esito ed i correttivi tecnici eventuali. In questo momento è bene ci sia l’insegnante.
  9. I formulati dell’esame saranno tenuti dal direttore tecnico che farà più tardi delle fotocopie e le invierà ai rispettivi insegnanti con magari un complemento di informazione sul lavoro da far effettuare da un certo allievo.

 

Configurazione di una seduta di shiken

Kamiza
(o Shomen o ancora Shinzen)
Esaminatori
Joseki
Insegnanti
Shimoseki
Candidati
Spettatori
Shimoza

 

Il perseguimento di uno shiken

Tutto il lavoro fatto nella seduta di Shiken si perderà se non c’è un seguito. Le disposizioni descritte ci permetteranno di proporre al praticante una nuova direzione di allenamento, di correggere errori per non decrescere, questo permetterà di migliorare il praticante.

  1. I giudici prenderanno i loro verbali scritti per commentarli.
  2. La direzione tecnica del gruppo prenderà l’incarico di inviare al Maestro il verbale, se il praticante lavora solo, a quest’ultimo.
  3. L’insegnante o il praticante isolato si baserà sulle correzioni per basarsi sul lavoro futuro.
  4. Dopo questi esami la direzione tecnica dovrà avere presente sempre questi verbali per vedere se sono stati migliorati i punti negativi.
  5. Per non avere un enorme dossier, il penultimo verbale viene distrutto, sarà compito dell’insegnante aver cura di tenere una documentazione per una visione plateale dell’allievo.

Formulario d’esame secondo la disciplina: eccezioni

È possibile, in casi ben particolari, si possa fare in tutt’altra maniera che in quella descritta. Un insegnante di alto livello, può in un momento, attribuire ad un praticante che sopraintende molto vicino al Maestro senza passare per il rituale dello Shiken.

In generale, l’insegnante giocherà lui stesso il ruolo di ukideshi o di uke e deciderà al termine di un’allenamento informale, che il praticante è promosso al grado superiore.

Questa non è una prova di rilassamento da parte dell’insegnante al contrario un segno di grande rispetto. Il praticante che beneficia di questo genere di promozione principalmente è un allievo di alto livello e di un’attitudine esemplare.

I sistemi dei gradi

Breve storia di un sistema moderno ed un sistema classico.

Sistema moderno

II sistema kyu-dow non è vecchio. È stato inventato dal M° Jijoro Kano, fondatore del Kodokan Judo, intorno al 1883, all’incirca un anno dopo la fondazione della sua scuola. Il sistema Kyu-dow è basato su 10 Kyu in ordine progressivo. Kyu significa “classe” e dow “grado” o “marcia-camminamento “.

I colorì attribuiti ai Kyu possono variare secondo le discipline ed il sistema utilizzato. Quanto concerne la cintura nera è utilizzata sino al 5° dan. Dopo il colore varia secondo la disciplina. Altri termini per utilizzare i gradi: “mudausha” persone che sono senza gradi, “joudansha” persone che possiedono un dan. C’è ancora il termine “kodansha” persone che possiedono un dan elevato.

II sistema delle cinture nere è un prodotto della classe paesana giapponese.

Kano Sensei era nato in una famiglia del popolo, proprietario di una fabbrica di sakè, fortunato, ma appartenente alla classe più bassa sociale, alla fine del periodo Tokugowa, la classe dei commercianti.

Il sistema delle cinture nere fu curato per un punto di prestigio e di credibilità, è vero, ma questo si colloca in un contesto della fine del diciannovesimo secolo, e che è lo studio della storia del giudo kodokan, ma questa idea è stata fatta comunque in un contesto commerciale, per far vivere economicamente questa scuola.

Malauguratamente questo sistema è degenerato sia in Giappone sia in Occidente. Le arti classiche sovente non usano i sistemi kju e dan. Certamente come lo Shinido Muso Rju parallelamente utilizza un sistema classico descritto dopo. Quindi è ancora possibile riconoscere una disciplina moderna ed una classica, questa usa il sistema menkju o quella che possiede il sistema classico di grado.

Il sistema classico

II nome del sistema classico si chiama “menkju”. Comparato al sistema moderno kju e dan, è evidente che in questo sistema, le tappe sono molto meno numerose e sono separate da un periodo di tempo (allenamento) molto più lungo.

Il numero di queste tappe può variare da due a nove, dunque due volte meno che nel sistema moderno, alla peggio dei casi, generalmente, il rango più basso è il oku. Iri-Oku. Oku significa “segreto”, e iri significa “entrare” più che un grado oku-iri è un certificato che permette al praticante d’entrare in un cammino che lo condurrà al risveglio.

Questo è il primo certificato che riceve il praticante. Il tempo d’apprendimento sotto l’occhio attento del maestro in un tempo di quattro od otto anni.

Il grado seguente si chiama mokuroku, letteralmente “registro” e significa che il nome del praticante è registrato nell’elenco della scuola. Dopo il nome dei praticante non figurerà più. Egli ha generalmente due livelli di mokuroku, un livello inferiore shomokuroku, sho significa “debutto”, mentre il livello superiore si chiamerà komokuroku, ko significa “dopo”.

Il primo certificato sottoposto varia tra otto e quindici anni d’allenamento, il secondo dai dodici a diciotto anni, e questi certificati non si possono ottenere per corsi di corrispondenza, sono gli anni di allenamento intensi con il maestro, in cui il praticante attivo partecipa a tutti gli avvenimenti della scuola.

Viene in seguito il grado menkju letteralmente “licenza”, vuoi dire che il praticante ha la licenza, cioè può aprire dei corsi, avere una propria scuola. Dopo questo periodo di quindici, venticinque anni, si raggiungerà il grado di kaidam, approssimativamente una trentina d’anni dall’inizio dell’attività sempre che abbia tenuto una pratica regolare. L’integrità del sistema menkju è molto reale. È impossibile trovare un praticante che detiene un mokuroku migliore di un menkju. Se non è capace dì arrivare al nuovo livello, non può ottenere il grado, solamente i figli possono avere il dojo anche senza il periodo richiesto, però queste eccezioni sono molto rare.

Il valore di un grado

II valore di un grado può essere molto relativo, secondo gli individui, a mio avviso, esiste qualche differenza sostanziale tra il Giappone e l’Occidente, per alcuni possono essere contradittori. Innanzitutto le differenze tecniche dentro i due sistemi sono molto marcate in Giappone. Dalla mia propria esperienza, in judo alla seconda presa del judoji d’un avversario io sapevo con quale dan avevo a che fare, quasi sino al quinto dan, il grado non è un’importanza sociale come i dan superiori, ma è coscente del valore del suo grado, e queste attitudini naturali del passaggio giustificato o spiegato.

lo non ho mai sentito un giapponese al di sopra del quinto dan vantarsi del suo grado. La ragione può essere quando uno entra in un confronto a livello nazionale, dove il numero di primi dan è di due milioni, quindi non sono sensibili a questa promozione.

Un’altra differenza è che l’anzianità gioca un ruolo predominante nella società giapponese, e non è raro che un praticante più graduato si oscura di fronte ad un anziano meno graduato. Nei gradi superiori, al contarlo, la situazione sociale è sovente legata al grado che possiede.

lo ho avuto e posseduto tante carte da visita con i numeri di dan dell’interessato, al contrario non ho mai visto un biglietto da visita di quel tale che ha ottenuto il grado di terzo dan. In Occidente, al contrario un’importanza smisurata è messa sul grado. Più che la capacità, più che l’anzianità il livello del grado sembra predominante. Questo ha dato luogo a gravi malintesi. I giapponesi, coscenti dell’importanza che ha il grado per l’occidente, si sono messi a fare dei regali.

È economico e fa talmente piacere… Un occidentale che si è recato in Giappone per un periodo molto lungo ha l’abitudine di fare dell’ottenimento di un grado di partenza un affare di cuore, tanti giapponesi si sono lasciati commuovere da questo stato di cose donando gradi non mentati.

Perché al rientro in patria a petto gonfio, sventolando il suo nuovo grado, non ancora meritato; di queste cose noi siamo responsabili. Il vero valore di un grado, lo si è visto, è tutto relativo, si può lo stesso dire che un grado di valore dallo sforzo che si fa per ottenerlo. Un dan non è nient’altro che un dan, un punto della scala, come la coscienza di se e di molti altri che saliranno nello stesso tempo come noi.

Sentirsi vanitosi in rapporto al suo grado è a mio avviso, molto ridicolo verso una persona che ci segue nell’ascesa di una scala semplicemente perché si è davanti e si gode di miglior punto di vista.

Conclusioni

lo ho voluto, in qualche modo, rimettere la “chiesa” nel mezzo del villaggio e in quello che concerne le discipline marziali, eccetto le competizioni. Il mio parere, a diverse riprese di questo avvenimento non è percepito come dovrebbe essere. Questo diventa sovente come affare d’onore, oppure una semplice formalità. In un caso come nell’altro nessun arricchimento ne può derivare. E se un esame non arrichisce il praticante (nel senso figurato (se vi piace)), io mi domando, a che può servire se non a gonfiare un po’ più il suo io, che abbiamo cercato di ridurre in proporzioni più discrete con il nostro lavoro nel Budo.

Ad essere geograficamente molto lontani dalla nostra sorgente, noi ci troviamo sovente nel dubbio quando la procedura ha seguito un tal significato o un tal rituale.

Io penso che questo sistema possa donare un sistema coerente per la condizione o l’essenza dello shiken. Questo sistema non è l’unico, tutti gli approcci sono utili, io non ho fatto che descrivere uno di questi aspetti, e che sono dei principi che mi hanno inculcato. Una applicazione di regole, di etichette descritte nelle pagine precedenti, voi conferirete alle nozioni di shiken le dimensioni che merita.